(Stefania De Bonis). Vorrei scrivere di una figura davvero affascinante. Una donna spagnola, autodidatta (alle donne era proibito acculturarsi nel Cinquecento), divenuta dottore della Chiesa. Mi ha attratto questa personalità così particolare per una donna del suo tempo, così apparentemente contraddittoria (il suo amore per i libri d’avventura, per le lunghe chiacchierate fra amiche, per lo studio di testi di spiritualità, l’attrazione per la clausura) e così moderna da potere realmente insegnare anche oggi, un efficace stile di comunicazione. Teresa de Ahumada, conosciuta come Teresa d’Avila donna “inquieta e vagabonda”, "l'andariega" come fu definita con spocchia dai superiori dell’Ordine in cui entrò e che rivoluzionò, con non pochi interventi dell’Inquisizione. Tratto distintivo di Teresa, che lo stesso papa Francesco ha descritto “una gioia contagiosa che non poteva dissimulare e che trasmetteva attorno a sé”.
Questa donna forte e generosa, è stata soprattutto una donna consapevole di essere amata da Dio e, come accade in chi ha una reale esperienza di fede, ha sentito urgente il desiderio che anche gli altri facciano la sua stessa esperienza. Vogliamo definirla “audacia missionaria”? Direi, più semplicemente, desiderio di condividere una gioia?
Per lei, la condivisione è un desiderio forte, ma è
anche un più sofferto atto di obbedienza. Le fu chiesto, infatti, di scrivere
la sua storia, per istruire le monache del suo ordine. Teresa obbedisce. Si
affida a Dio ma il suo stile, si caratterizza subito per originalità. E che
cosa fa? Usando una terminologia … diciamo non troppo spirituale, spiega la
finalità del suo messaggio:
«Escrivo para
engolosinar», scrivo per ingolosire. Scrive perché tutti possano essere
attratti verso Dio, come è successo a lei. Non un insegnamento pedante, il suo.
È come se dicesse: “Sentite che mi è capitato, una cosa meravigliosa e può
succedere a tutti perché non l’ho cercata: è stata un dono”.
Lo dice più volte:
·
Non dirò nulla che non abbia lungamente sperimentato (Vita18,8);
·
Non dirò nulla che non sia frutto d’esperienza, o
per averla provata in me o per averla osservata in altre anime. (Prologo Cammino di perfezione)
·
Mi si creda, perché è una cosa di cui ho fatto
esperienza; (F 7,7)
·
Parlare con esattezza di ciò che non si conosce per
esperienza, è assai difficile
(VI Mansioni)
DALL’ESPERIENZA ALLA CONDIVISIONE.
Quello che cattura il
lettore di Teresa è la sua consapevolezza delle proprie fragilità, che ha
imparato a riconoscere e affrontare quando ha incontrato l’Amico.
Ed ecco un tratto davvero incredibile di questa donna.
Cresce nel culto dell’amicizia. Tanti si confidano con lei, ha sempre una
parola gentile. A volte indugia fin troppo in parlatorio…Ma questo tratto viene
a far parte della sua esperienza di fede. Chi è Dio per lei se non l’Amico che
non tradisce, che l’accompagna ovunque, che è capace di piangere con lei e di
essere felice con lei, che la ama profondamente?
Al giorno d’oggi anche discutere di fede può farci cadere
nell’ autoreferenzialità: parliamo di Dio, ma in realtà è come se dicessimo che
siamo bravi a capire certe cose. Sono cattolico perché faccio questo, quest’altro….
Niente di più sbagliato. La fede vera innanzitutto cresce nella discrezione e
quello che deve trasparire è un comportamento credibile.
E Lei? Teresa era una donna vanitosa, che amava
stare al centro dell’attenzione, i primi 20 anni al Carmelo sono stati
difficili. Non lo nasconde: Quando mi
trovavo fra i piaceri mondani, mi dava pena il ricordo di ciò che dovevo a Dio;
quando stavo con Dio mi turbavano le affezioni del mondo. (Vita 8,2).
Come ha risolto le sue contraddizioni? ha trovato pace quando ha compreso che
il centro è un Altro e tutta la sua vita è diventata un desiderio di “fissare
lo sguardo in Lui”. La scoperta che la preghiera non è più ripetere formule a
memoria, ma un intimo intrattenersi con Dio, in confidenza.
Come non sentirsi attratti? Come non desiderare la
sua fede? Lei scrive che è un dono e possiamo riceverlo tutti. Lo dice
chiaramente nel Cammino di perfezione: “tenete
presente che il Signore invita tutti” (CE 32,1).
E non è necessario isolarsi per pregare. Per
convincercene Teresa arriva addirittura a scrivere:
Non vi affliggete quando l’obbedienza vi tenga occupate in cose esteriori: se attendete alla cucina, rendetevi conto che il Signore si aggira fra le pentole, aiutandovi interiormente ed esteriormente. (Fondazioni 5, 8)
L’EPISTOLARIO
Teresa d’Avila desidera che il suo messaggio vada
oltre la clausura. E’ evidentissimo nelle lettere ai laici che l’aiutavano
nelle fondazioni dei nuovi monasteri (secondo la sua riforma del Carmelo), agli
amici, al fratello Lorenzo. L’epistolario svela proprio la donna capace di
coltivare amicizie, mantenere rapporti di affari e far passare attraverso i
suoi messaggi questa speranza e fiducia in Dio che non deve mai mancare. Con l’amabilità del discorrere tra amici, fa
quasi scivolare, fra le righe, un consiglio su una lettura spirituale e sulla
necessita della preghiera. Per lo più scrive con disinvoltura dei propri
acciacchi (una volta un dolore addominale, un’altra volta la febbre, altre
volte il viso gonfio per il mal di denti) o di affari.
Emerge la figura di una donna simpatica, con i piedi
per terra.
PARLA ANCHE A NOI
La mentalità dei contemporanei di Teresa era molto
simile a quella dei nostri tempi (avida di prestigio sociale ed economico,
autoreferenziale) eppure Teresa è riuscita a spostare l’attenzione dal
materiale a un piano più intimo e più spirituale. Il suo messaggio risponde anche
oggi a quelle domande, a volte inespresse, che rendono l’uomo inquieto e
insoddisfatto.
Non è un caso che persone delle culture più diverse
leggano Teresa d’Avila (a volte si lasciano ispirare, a volte la
strumentalizzano), ma sono tutte affascinate da questa donna che ha saputo
passionalmente comunicare la propria esperienza. E ora questa donna è dal settembre
1970 Dottore della Chiesa. Il suo messaggio spirituale è cioè universale.
Questo non ne fa un’icona e basta. I suoi scritti vibrano ancora della sua
irrequietezza, ma c’è quella speranza a cui tutti anelano: un incontro
appagante con l’Infinito.
UNA GIOIA CONTAGIANTE
Teresa dubita delle persone che parlando di Dio, descrivono
fenomeni mistici, si soffermano su miracoli o altro. Bacchetta le sue monache
quando succede, incitandole piuttosto a “essere
affabili e di comportarvi con tutte le persone che tratteranno con voi in modo
tale che amino la vostra conversazione e invidino il vostro modo di vivere”
(CV 41, 4-7). Ho letto che un giorno una donna le si era avvicinata tutta
compunta (sono scene che avvengono ancora nei parlatori) per cercare di
carpirle il racconto di chissà quali penitenze spettassero alle suore in
clausura. Teresa comprese al volo la malizia di quella domanda e le rispose: In questo momento stanno preparando una
commedietta per le feste di Natale.
Ironica, a volte pungente, ma estremamente gioiosa. Il
monito di Teresa, in una delle sue lettere: «Non
smettete di camminare gioiosi!» (Lettera 284, 4).